L’attacco
congiunto contro scuola e università, portato avanti dal
reazionario governo Berlusconi, prosegue ed accentua una linea
politica ormai ventennale, che ha gradualmente ma inesorabilmente
ridotto la spesa e gli investimenti nel settore dell’istruzione e
della formazione pubbliche, smantellato la qualità dei saperi
e delle conoscenze, precarizzato la vita di centinaia di migliaia di
studenti e di lavoratori ed avvantaggiato la speculazione dei privati
(basti pensare alle galassie di diplomifici parificati e di
università private proliferati nell’ultimo decennio).
Il
percorso di delegittimazione del sistema collettivo di diritti e di
garanzie si è tradotto in una serie di provvedimenti
legislativi che, a partire dalle leggi Ruberti e Berlinguer che
introducevano rispettivamente l’autonomia per gli atenei e per gli
istituti scolastici, insieme con la parifificazione con gli istituti
privati, passa dalla legge Zecchino e dal tragico “3+2”, per
concludersi oggi con gli attuali provvedimenti governativi (legge
133/2008, DL 137, proposta di legge Aprea)
e con la destinazione al capitale finanziario e alle banche delle
risorse di università e della ricerca (decreto
legge “salva banche” n. 155/2008).
Tutti
gli esecutivi sinora succedutisi (centro-destra e centro-sinistra) si
sono dunque uniformati, attraverso pratiche e modalità
differenti, sottoscrivendo un tale percorso.
I
denominatori comuni di un tale progetto politico sono individuati nel
crescente attacco al mondo del lavoro e ai suoi diritti e nella
frammentazione in categorie della classe lavoratrice; a tal proposito
si ricordano la precarizzazione del lavoro portata avanti dal
“pacchetto Treu” e dalla successiva “legge Biagi”.
Costante
è stata la strumentale delegittimazione dell’intero settore
pubblico, proposto come covo di scansafatiche e di nullafacenti; è
inaccettabile che oggettive ma parziali inefficienze dell’apparato
dello stato e delle amministrazioni vengano generalizzate e
faziosamente utilizzate come grimaldello per scardinare l’intero
sistema di diritti collettivi e di stato sociale. Il rifiuto di
sprechi e di inefficienze può e deve conciliarsi con un
sistema pubblico di garanzie e di diritti senza il quale i beni
essenziali (scuole, ospedali, università) non sarebbero più
garantiti collettivamente ma si trasformerebbero in servizi erogati
da imprese private.
Quando
la gestione dei diritti diventa fonte di accumulazione di profitto,
questi diventano appannaggio esclusivo di chi può contare su
una disponibilità economica consistente. Ci rifiutiamo di
accettare questa falsa retorica meritocratica da parte di una classe
politica che ha costruito buona parte del proprio bacino di consenso
elettorale attraverso una gestione mafiosa e clientelare delle
pubbliche amministrazioni.
Il
nemico è dunque costituito da un blocco storico dominante e
reazionario che riunisce insieme neofascisti, mafiosi, affaristi e
speculatori, élites politiche senza scrupoli, massoni e
criminali vari, che intendono fare del paese e delle sue strutture
terreno di caccia per i loro interessi privati ed esclusivi, che
intendono asservire l’intera società, affamandola e rendendola
docile e sottomessa attraverso l’uso convergente dell’asservimento
culturale e della gestione clientelare dei bisogni.
Per
fare questo occorre appropriarsi delle menti e delle coscienze,
dunque della capacità rappresentativa e quindi di prassi
politica delle future generazioni; in questo senso vanno letti i
tagli apocalittici alle strutture scolastiche sin dai livelli della
prima infanzia.
Duecentomila
posti in meno nella scuola, il taglio dei tempi pieni e prolungati,
le assunzioni ridotte del 80%, la trasformazione degli atenei in
fondazioni private, le drastiche riduzioni dei fondi ordinari delle
università, la degenerazione in senso classista dell’intero
comparto dell’istruzione e della formazione rappresentano l’incontro
dei due percorsi congiunti di attacco: smantellamento dell’unità
e dei diritti del mondo del lavoro e controllo e coercizione delle
coscienze.
Quest’ultimo
si esprime in un dissolvimento del sapere critico in quanto
potenziale vettore di disvelamento della retorica di regime che
riesce per esempio a spacciare classi separate per bambini immigrati
come strumenti di integrazione didattica e non per quello che sono
realmente: ghetti linguistici e conseguentemente sociali.
Quanto
sino ad ora detto non lascia dubbi sulla portata epocale della sfida
che ci troviamo a fronteggiare.
Un
attacco folle e agguerrito ai lavoratori, alla loro unità, ai
loro contratti nazionali, all’intero mondo della pubblica
amministrazione, alla formazione, alla cultura e dunque alla capacità
di pensiero e di azione dell’intera società.
L’assemblea
permanente auspica di poter dare vita a momenti di analisi e
controproposta condivisi dalle diverse componenti delle diverse
facoltà cittadine e di diversi atenei nazionali.
In
gioco c’è il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori e
dell’intero paese.
Palermo
16 Ottobre 2008