Sotto attacco dell’idiozia

L’attacco
congiunto contro scuola e università, portato avanti dal reazionario
governo Berlusconi, prosegue ed accentua una linea politica ormai
ventennale, che ha gradualmente ma inesorabilmente ridotto la spesa e
gli investimenti nel settore dell’istruzione e della formazione
pubbliche, smantellato la qualità dei saperi e delle conoscenze,
precarizzato la vita di centinaia di migliaia di studenti e di
lavoratori ed avvantaggiato la speculazione dei privati (basti
pensare alle galassie di diplomifici parificati e di università
private proliferate nell’ultimo decennio).

La
deriva autoritaria di sbilanciamento populista e fascista della
politica italiana si esprime anche nel fatto che tutta una serie di
stravolgimenti epocali nella vita collettiva del paese siano
perpetrati tramite il ricorso o ai decreti legge, dunque a
provvedimenti che, avendo l’efficacia di legge, omettono però il
normale iter legislativo – provvedimenti che poi un parlamento
schiavo e sottomesso non esita a convertire in legge ordinaria –
oppure per mezzo di un uso sconsiderato e criminale della richiesta
di fiducia. Scuola e università vengono difatti colpite in maniera
irreparabile senza nemmeno assumersi la responsabilità di una legge
organica apposita. Si sfruttano le normative precedenti e si operano
tagli apocalittici di personale o degli stanziamenti.

Ma
procediamo con ordine tentando di delineare un quadro approssimativo
della sciagura a cui l’intero paese sta per andare incontro.

Cominciamo
dalla scuola.

Il
trattamento riservatole è aspro e violento. Del resto lo
stravolgimento totalitario in senso fascista e reazionario delle
coscienze, per essere efficiente, non può non partire dai livelli
primari del sistema di istruzione.

Limitandoci
ai provvedimenti finora approvati o in via di approvazione il quadro
che si profila è quanto mai desolante.

Stando
a quanto emerge dall’
art.
64 della legge 133/2008 (ex DL n. 112/2008) e dal decreto-legge n.
137/2008 (decreto Gelmini)

le conseguenze nel comparto scuola sarebbero le seguenti:


La
scuola dell’Infanzia

(materna) si ridurrà al solo turno antimeridiano dalle 8,30 alle
12,30 imponendo così ai genitori di provvedere privatamente per le
ore pomeridiane con una spesa considerevole e senza alcuna garanzia
di serietà educativa.

La
scuola Primaria

(elementare)

regredisce al maestro unico e si vedrà ridotto l’orario
settimanale da 30 a 24 ore
.
Viene eliminata la pluralità degli insegnanti, dell’organizzazione
modulare che assicurava la molteplicità delle “presenze” e delle
esperienze cognitive.

Viene
eliminato il Tempo Pieno

(40 ore settimanali). Si impone ai genitori un altissimo costo per le
cure pomeridiane dei bambini senza alcuna garanzia di serietà
educativa; si impongono alle donne con figli condizioni lavorative
difficili o impossibili (
la
diminuzione di ore di scuola porta al “risparmio” di 87.000
insegnanti
)

In
tutti gli ordini di scuola

si
sta programmando
un
taglio di oltre 2.000 scuole

nel Paese (quelle sottodimensionate con meno di 600 alunni), che
porterà ad aumentare studenti ed alunni pendolari, con grandi spese
di trasporto, fatiche e disagi per studenti e per le famiglie.

In
tutti gli ordini di scuola

aumento
di 4 o 5 alunni per classe
.
La legge n. 133/2008 prevede che aumenti di una unità il rapporto
tra docenti e alunni: per realizzare questo assurdo obiettivo bisogna
che in ogni classe aumenti mediamente di due alunni il numero
massimo; nei fatti si realizzerà un aumento di 4/5 alunni nelle
classi dei centri urbani e soprattutto nelle grandi periferie.
Diminuirà il tempo reale che ogni insegnante potrà dedicare a
ciascuno studente, cresceranno gli insuccessi scolastici, i problemi
di gestione educativa e disciplinare delle classi (così
si
“risparmiano” 72.000 posti di docenti
).

In
tutti gli ordini di scuola

senza alcuna motivazione
si
taglia il 17% del personale non docente
:
700 Direttori amministrativi, 10.452 personale di segreteria, 3.965
assistenti tecnici per i laboratori, 29.076 collaboratori scolastici
(
in
totale 44.500 posti di non docenti “risparmiati”
).

Già
oggi questo personale è estremamente carente e ulteriori tagli
renderanno ingestibile la scuola.

Nelle
scuole secondarie di I grado

(medie) viene ridotto il Tempo Prolungato a 29 ore settimanali (dalle
32/33 ore attuali); con questa misura è previsto il
“risparmio”
di 13.600 docenti
.

Nelle
scuole secondarie di II grado
(superiori):
viene generalmente ridotto l’orario in tutti gli indirizzi, in
misura maggiore negli istituti Tecnici e Professionali in cui si
passerà dalle 36/38/40 ore alle 32 settimanali. Questo significa
diminuire il tempo-scuola per la cultura, i laboratori, le
discipline. Nei licei si passerà a 30 ore settimanali (in totale
questa misura prevede un primo
taglio
di 14.000 posti di docente
).

Con
questi provvedimenti si prevede complessivamente il taglio di oltre
200.000 posti nella scuola italiana.

Come
se non bastasse, nel bilancio di previsione dello Stato, per l’anno
finanziario 2008, è previsto un
calo
del finanziamento alle scuole per il funzionamento amministrativo e
didattico dell’81,9 % rispetto al 2001 e di poco meno della metà
rispetto al 2007
.
Sempre del 50% in meno rispetto al 2007 e del 72,4 % rispetto al
2004, saranno i finanziamenti per le supplenze brevi.

Il
dato gravissimo che emerge da una prima lettura politica della
situazione è quello di un’aggressione folle e sconsiderata ai
lavoratori delle scuole e alle loro esistenze. Per di più rilevanti
questioni di ordine didattico ed educativo subiscono una grave
banalizzazione, venendo tra l’altro sottratte al confronto e al
dibattito pubblici. Si assiste così ad una regressione verso modelli
arretrati e reazionari che rispolverano autoritarismi sorpassati ed
anacronistici (voto in condotta, maestro unico), che all’esame dei
fatti si traducono nel classico fumo negli occhi: non destinando
alcun finanziamento, al contrario amputando intere fette del mondo
scolastico, quelle misure si dimostrano per quello che sono, pura e
banalissima retorica reazionaria. Con l’immagine puramente illusoria
di un ritorno ad un passato spacciato nostalgicamente come più
disciplinato, si vuole nascondere lo sfacelo a cui si sta destinando
l’intero paese. Fortemente sotto attacco vengono ad essere le donne e
la loro possibilità (già oggi ardua) di decidere autonomamente di
conciliare la vita lavorativa e una vita familiare che le vede,
purtroppo, ancora più esposte dell’uomo nella gestione dei figli. Lo
smantellamento dei tempi pieni e prolungati, insieme alla riduzione
generale del monte ore, si tradurrà in un ulteriore sovraccarico
delle vite delle donne, con il conseguente arretramento reazionario e
familista della società nel suo complesso, in particolar modo, poi,
di quella meridionale. Tutto questo fa parte di un disegno
complessivo che smobilita e destina allo smembramento l’intero
settore delle amministrazioni pubbliche, dunque del sistema di
garanzie e di diritti dello stato sociale. L’aggressione al mondo
della formazione non si limita dunque alla scuola. Anche l’università
subisce un’aggressione senza precedenti, che non a caso è contenuta
negli articoli dello stesso provvedimento che colpisce istituti
scolastici e pubblica amministrazione in generale.


Gli
atenei così come li abbiamo conosciuti fino ad ora sono infatti
destinati a svanire: stando infatti all’art. 16 della legge 133/2008,
potranno deliberare la loro trasformazione in fondazioni di diritto
privato
, cioè in
enti autonomi composti anche da soggetti e aziende private, che
entreranno in possesso dei patrimoni, mobili e immobili, delle
università. La beffa è per di più costituita dal fatto che gli
atti di trasformazione e di trasferimento dei beni immobili a
vantaggio delle fondazioni saranno esenti da tasse e imposte. Una
cricca di speculatori non dovrà neanche pagare le tasse, dopo
essersi intascata patrimoni pubblici, originariamente pagati con le
risorse dell’intera comunità. Gli atenei saranno così costretti a
deliberare la propria fine, trasformandosi in fondazioni, vista la
drastica riduzione di
risorse destinate alle università ( circa 1441 milioni di euro in
meno entro il 2013).

In
terra di mafia e di speculazioni affaristiche, possiamo
tranquillamente immaginare che tipo di nuovi soggetti verrebbero a
comporre i consigli di amministrazione delle neonate fondazioni!

Per
di più, una volta scaduto il contratto collettivo di lavoro, tutto
il personale occupato nelle ex università pubbliche, diverrebbe
dipendente da un soggetto privato, che potrebbe luogo per luogo,
momento per momento, stabilire a piacimento i criteri di selezione
dei lavoratori, i contratti da stipulare, le condizioni lavorative.
Questo causerebbe un’ulteriore frammentazione della classe
lavoratrice, attaccando ancora di più la centralità del contratto
collettivo nazionale come strumento fondamentale di difesa del
lavoro.

È
evidente che la trasformazione in senso privatistico ed aziendale
degli atenei, cancellerà la libertà di ricerca, di espressione, di
protesta all’interno delle nostre facoltà: perché dover fare
ricerca sulle cellule staminali se la fondazione universitaria vede
tra i suoi soci esponenti o aziende legati all’oscurantismo
cattolico? Perché dover studiare un pensatore critico, scomodo, se a
gestire la propria facoltà vi è qualche “amico degli amici”,
qualcuno legato all’élite dominante che prova ogni giorno a ridurci
al silenzio? Perché dovrebbe essere legittimo richiedere un
assemblea, occupare una facoltà, disporre di un’aula autogestita
dagli studenti, quando l’università è di proprietà di pochi
azionisti?

I
poteri dominanti del sempre più fascista e mafioso stato italiano
vogliono allungare le loro grinfie sulle menti e sulle coscienze,
dunque sulla capacità rappresentativa e quindi di prassi politica
delle future generazioni. L’asservimento volontario, la coercizione
democratica e consensuale sarebbero così ottenuti. Dominio ed
egemonia della reazione andrebbero definitivamente a braccetto.

La
linea che emerge dal provvedimento in esame è quindi quella di voler
puntare solo ed esclusivamente su
pochi
poli di presunta eccellenza
,
abbandonando il sistema universitario nazionale allo sbando e allo
smembramento interessato dei privati.

Le
università, nel triennio 2009-2011, non potranno assumere più del
20% del personale andato in pensione nell’anno precedente, e non più
del 50% nel 2012
.

Sono,
questi, i termini di un totale smantellamento, che si associa
all’attacco a tutto il settore pubblico dello Stato.

Quello
che si sta per compiere è un ulteriore attacco alle garanzie
collettive e ai diritti di questo paese. Ancora una volta i poteri e
le élites dominanti, legati ad interessi privati, a mafie ed a
consorterie criminali e massoniche, portano avanti un progetto di
infiltrazione nei gangli vitali della società. Dopo essersi
impossessati (col consenso di tutti i governi succedutisi)
dell’economia nazionale, dopo aver fatto grandi profitti personali ed
aver fatto crollare le grandi aziende ex pubbliche, dopo aver gestito
le grandi privatizzazioni, il grande capitale criminale, dominante in
Italia, vuole banchettare con i resti delle pubbliche
amministrazioni. Entrerà dunque nelle università attraverso le
fondazioni, nelle scuole attraverso lo spazio che sempre di più
verrà delegato ai privati (es. cooperative o presunte tali che
sostituiranno le scuole in quello che era il tempo pieno o
prolungato).

Per
fare questo occorre però smantellare il sistema esistente, affamarlo
tramite tagli di enorme portata e destabilizzarlo anche dal punto di
vista lavorativo e delle garanzie sindacali e contrattuali. A
testimonianza di come non ci si stia inventando nulla, di come lo
spirito reazionario dell’attuale compagine governativa non teme di
mostrarsi nella sua interezza, citiamo una proposta di legge che
verte sul governo delle istituzioni scolastiche, sulla selezione e
sullo status giuridico dei docenti. La proposta (
n.953/2008)
reca la firma della deputata
Aprea,
presidente della commissione cultura della camera, nonché per chi
non lo ricordasse, sottosegretaria alla mai compianta Moratti durante
la XIV legislatura. Nessuno ne parla, soprattutto i sindacati
confederali che sono i principali corresponsabili di venti anni di
attacchi alla scuola e all’università pubbliche. Anticipiamo
brevemente alcuni dei più allucinanti punti della proposta che,
ribadiamo, è espressione non di un cane sciolto della maggioranza,
bensì di una sua autorevole voce di settore, al fine di delineare
ancor meglio l’ampiezza e la compattezza del fronte di attacco
reazionario che ci vede oggetto di aggressione.


Anche
alle scuole toccherebbe la sorte di costituirsi in fondazioni
,
con tutte le conseguenze del caso, prima fra tutte la partecipazione
degli eventuali “partners” agli organi di governo scolastici
(vale a dire di privati che decideranno, di fatto, di comprarsi una
scuola).

Sparirebbero
i consigli di istituto e verrebbero creati dei consigli di
amministrazione

che oltre a poter deliberare circa il proprio regolamento (senza che
nessuno al suo esterno possa sindacarne le scelte), avrebbero anche
la facoltà di definire il regolamento di istituto e di approvare il
piano dell’offerta formativa, estendendo così il proprio potere su
tutta l’attività scolastica. I consigli di amministrazione
potrebbero creare regolamenti che permettano ai privati, o comunque
ai soggetti non scolastici (esclusi cioè docenti, studenti e
genitori che sarebbero relegati a comparse minoritarie ), di avere
sempre la maggioranza all’interno di questi organi. I collegi dei
docenti verrebbero così ad essere asserviti ai consigli di
amministrazione, in quanto soggetti ai regolamenti di istituto decisi
da quest’ultimi.

Verrebbero
istituiti dei
nuclei
di valutazione dell’efficienza
,
composti
anche da membri esterni, che, dietro retribuzione, dovrebbero
valutare “l’efficacia e la qualità del servizio scolastico”,
valutazioni da cui dovrebbero poi dipendere le offerte formative
degli anni successivi, oltre che la possibilità di disporre di
finanziamenti. Si vuole in sostanza creare un meccanismo che
legalizzi la corruzione: per avere un’offerta didattica accattivante,
e per ottenere risorse finanziarie, gli istituti dovranno poter
vantare delle valutazioni positive, per ottenere valutazioni positive
basterà richiedere e profumatamente pagare i membri esterni
compiacenti.

Ma
l’attacco al mondo dei saperi continuerebbe attraverso l’ulteriore
precarizzazione dei futuri docenti: abolite le odiose, inutili e
mafiogene S.S.I.S., l’insegnamento sarebbe accessibile solo per
coloro che conseguiranno apposite lauree magistrali-specialistiche
non ancora esistenti. Questo significa che tutti coloro attualmente
iscritti nei corsi biennali non potrebbero accedere all’insegnamento.
Verrebbe istituito un
Albo
Regionale degli abilitati
,
che dovrebbe sostituire le graduatorie provinciali, generando un
sistema poco funzionale, che comprometterebbe la mobilità dei
docenti e che si presenta sin dall’inizio privo di trasparenza. Una
volta laureati e inseriti nel fantomatico Albo Regionale, si
profilerebbe
un
anno di contratto di “inserimento formativo al lavoro”
,
in cui l’ufficio scolastico regionale svolge le funzioni di
un’agenzia interinale, destinando i malcapitati neo-professori ad un
contratto a tempo determinato, stipulato direttamente dal dirigente
scolastico di turno, che assume cosi le vesti di un vero e proprio
datore di lavoro. Come se non bastasse, durante l’anno, sul precario
“vigilerebbe” un tutor, specificatamente retribuito per
l’occasione, e i neo-docenti dovrebbero associare alle responsabilità
di insegnamento, ulteriori attività formative (oltre al normale
orario lavorativo!!!) coordinate dalle università (ancora loro!!),
sulla base di quanto stabilito dalle valutazioni dei tutors stessi,
che diventerebbero così i gabelloti di questo feudalesimo
scolastico, il cui arbitrio potrebbe decidere della vita di migliaia
di lavoratori.

A
conclusione dell’anno a tempo determinato dovrebbe svolgersi una
discussione di fronte ad una apposita commissione avente come fine un
giudizio ed un punteggio sull’attività di docenza.

Ancora
una volta il tutor disporrà in questo caso di un enorme potere di
influenza sulla valutazione finale.

Alla
fine di questo percorso pazzesco l’unico sistema di attribuzione dei
posti disponibili nelle scuole sarebbero dei
concorsi
d’istituto
,
banditi con una cadenza “almeno triennale” e totalmente gestiti
dalle scuole e dai dirigenti scolastici.

Emerge
in maniera clamorosa l’intento neo-corporativo e reazionario che sta
alla base di tale proposta:
la
professione docente verrebbe gerarchizzata in tre distinte categorie
di docenti (“iniziale, ordinario ed esperto”)
,
aventi distinti riconoscimenti giuridici e retributivi e differenti
mansioni organizzative all’interno delle scuole (ai cosiddetti
“docenti esperti” verrebbero infatti riservate tutte le attività
di coordinamento, di assegnazione dei progetti, di collaborazione con
il dirigente scolastico e di aggiornamento dei docenti “iniziali”,
tutto specificamente retribuito).

La
logica neo-corporativa da bottega medievale in salsa
burocratico-modernista, si esprime nel fatto che la progressione nei
tre livelli non sarebbe regolata soltanto dal criterio dell’anzianità
lavorativa, ma verrebbe ad essere vincolata agli esiti positivi di
periodiche valutazioni, effettuate da commissioni apposite e sarebbe
regolamentata tramite selezione per titoli e concorsi. Gli esiti
delle valutazioni e delle selezioni sarebbero di volta in volta
registrati nel portfolio personale del docente, andando di fatto ad
istituire una vera e propria fedina penale dell’insegnante, che
verrebbe così esposto ad un sistema di controllo repressivo e
punitivo da regime totalitario. Infine, sfruttando il neonato sistema
tripartito delle docenze, si istituirebbero inquietanti strutture
professionali-corporative, che vigilerebbero (!) sulla disciplina
degli iscritti-aderenti e influirebbero sulle linee guida della
didattica. Queste organizzazioni sembrano, ad una prima lettura, la
chiave con cui attaccare le rappresentanze sindacali unitarie, cui
andrebbero sostituite delle rappresentanze sindacali della sola area
dei docenti (con il certo benestare delle organizzazioni sindacali
confederali, da sempre favorevoli a derive settoriali finalizzate al
monopolio sindacale).


Quanto
sino ad ora detto non lascia dubbi sulla portata epocale della sfida
che ci troviamo a fronteggiare. Un attacco folle e agguerrito ai
lavoratori, alla loro unità, ai loro contratti nazionali, all’intero
mondo della pubblica amministrazione, alla formazione, alla cultura e
dunque alla capacità di pensiero e di azione dell’intera società.

In
gioco c’è il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori e
dell’intero paese.

Il
nemico è costituito da un blocco storico dominante e reazionario che
riunisce insieme neofascisti, mafiosi, affaristi e speculatori,
élites politiche senza scrupoli, massoni e criminali vari, che
intendono fare del paese e delle sue strutture terreno di caccia per
i loro interessi privati ed esclusivi, che intendono asservire
l’intera società, affamandola e rendendola docile e sottomessa
attraverso l’uso convergente dell’asservimento culturale e della
gestione clientelare dei bisogni.

I
diritti e la libertà non devono essere sconfitti. Occorre
mobilitarsi come studenti, ricercatori, precari, docenti, lavoratori
in genere, per difendere e rilanciare la scuola e l’università
pubbliche e di stato, le garanzie e i diritti collettivi alla salute,
al lavoro, alla pensione, alla dignità.


Saperi
in Lotta

Coordinamento
dei Collettivi Universitari e Studenteschi


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